Periodicamente si riaffacciano nell’arte contemporanea delle suggestioni che affondano le loro radici nella Pop Art, richiamando il mito dei soggetti cari ad Andy Warhol le cui opere vengono battute in queste settimane a cifre esorbitanti: la celeberrima ed amatissima Marylin ha superato la quotazione di 184 milioni di euro, la somma più alta mai pagata per un’opera americana del XX secolo.
I tempi sono cambiati, il mondo di oggi non è più quello segnato dall’orgia del boom economico dopo le ristrettezze imposte dal secondo conflitto mondiale, il Covid ha fatto traballare le certezze della ricerca scientifica, il degrado ambientale ha indotto a rivedere i ritmi dello sviluppo industriale selvaggio ed i venti di guerra sono tornati ad agitare il panorama europeo…
Ebbene nonostante tutto ciò, anzi forse a causa di tutto ciò, sentiamo impellente il desiderio di contemplare immagini rasserenanti e vivaci, capaci di esorcizzare sia pure per un momento il male di vivere che ci affligge.
Le tele di Renè (ovviamente è un nome d’arte) soddisfano pienamente il nostro desiderio di serenità e ci conducono verso una confort zone dello spirito che le rende assai gradite al pubblico: l’autore non è certo un outsider, ha alle spalle una lunga carriera, ma negli ultimi anni ha sperimentato con successo una nuova formula compositiva che si basa sulla sovrapposizione di varie immagini iconiche tratte dal mondo dell’arte ma anche dalla cinematografia, dal fumetto e dalla pubblicità.
Il risultato è una straordinaria esplosione di energia che si manifesta attraverso l’uso di colori assai vivaci e di combinazioni che alla prima appaiono come la conseguenza di una sbornia visiva che tende a fondere il possibile con l’impossibile, il reale con il fantastico.
Proiettando le immagini sulla tela, il pittore pugliese passa poi a disegnarne i contorni e a stendere il colore in preda ad un furor cromatico che non può non ricordare la Pop Art.
È singolare notare che in ognuna delle sue bizzarre ambientazioni compaia sempre un lampadario che scende dal soffitto delle stanze popolate da una moltitudine di personaggi e di animali: in alcuni casi si tratta di un pomposo lampadario di Murano in stile rococò, in altri di una più lineare lumiera, ma c’è sempre questo oggetto che ci riporta al vissuto quotidiano, ad un interno borghese e rassicurante.
Quando ha esordito nel mondo dell’arte Renè, “Nom De Plume”, aveva già affetti e predilezioni per la grande pittura del primo novecento, partendo dalla migliore produzione della POP ART, nata negli anni ’50, che lo affascina a tal punto da farne la sua ragione di vita.
Della pop art apprezza la lezione considerando che questo movimento dette dignità di arte con riuscita efficacia alla sperimentazione e all’innovazione. Crea allora la sua curiosità intellettuale e le sue opere si perfezionano sia sul piano tecnico che su quello stilistico.
I suoi quadri oggi sono costruiti con ritagli della memoria, con gli spunti della cronaca e della piccola storia e della grande storia, che si intersecano facilmente e propongono una nuova lettura del mondo. Il mondo di Renè è quello del mondo comune, della vittoria del bene sul male e viceversa, dei contrasti spesso irrisolti della nostra società.
Come nella migliore tradizione delle nuove avanguardie, Renè ha rinunciato ai fini didattici e ha preferito che ogni suo estimatore fosse invitato a trovare stimoli e significati nelle opere che ha potuto vedere e apprezzare.
Ma lasciando scorrere gli occhi sulle pareti della stanza, non può non sorgere il dubbio di trovarci in una abitazione nella quale vive un personaggio in preda ad una sorta di delirio visivo, stanze popolate da presenze e da oggetti che rimandano prevalentemente agli anni sessanta e settanta e che certo non dispiacerebbero ad un cultore di quel periodo come Renzo Arbore. Il popolare volto del personaggio televisivo non a caso compare in una delle opere di Renè: seduto con le gambe accavallate è circondato da Biancaneve e i sette nani, mentre sullo sfondo occhieggia la ragazza con l’orecchino di perla di Vermeer riprodotta su un manifesto pubblicitario strappato.
Le combinazioni di immagini che caratterizzano le opere di Renè meriterebbero certamente un approfondimento di natura psicanalitica per comprendere in base a quali associazioni mentali l’artista le accoppi: capita infatti di riconoscere Einstein davanti all’Ultima Cena di Caravaggio e quest’ultimo è senza dubbio uno dei pittori del passato prediletti da Renè perché in un’altra tela troviamo il suo Bacchino malato in dialogo con de Chirico e Roy Liechtenstein.
Cercare di riconoscere chi siano gli autori delle opere che compaiono nelle tele dell’artista pugliese è davvero un esercizio utile e divertente: l’elenco è lungo e comprende oltre agli autori già citati, Jeff Koons, Botero, Xavier Bueno, Dalì, il tutto è poi condito con gli interventi grafici di Renè che inserisce graffiti, schizzi, macchie, lacerazioni ricordando così da lontano i celeberrimi decollage di Mimmo Rotella.
In mostra non passa inosservato uno scherzoso omaggio alla città di Ascoli: sullo sfondo monumentale di Piazza del Popolo, Totò e Peppino chiedono informazioni ad un vigile urbano mentre alle loro spalle sfilano una dama ed un cavaliere in abiti rinascimentali. In questo caso si coglie anche uno sfasamento cronologico che rende ancor più ambigua e surreale la composizione dell’artista pugliese, dando libero sfogo alla sua ed alla nostra immaginazione di persone alla ricerca di una felicità perduta.
Stefano Papetti
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